APOTEOSI DI NESSUN NESSO

“ È vero che, a guardarsi attorno, sembra di vedere un gran vuoto e una notevole mancanza di vigore intellettuale e d’impegno sociale. Vediamo solo terra bruciata, solo cenere al vento che ricorda i bei tempi in cui i fuochi ardevano ancora, mentre adesso non ci sono più.

In realtà ciò che ha infuocato le generazioni precedenti non è tutto perduto. Si è solo nascosto sotto la cenere e il fango che gli abbiamo gettato sopra. Un po’ di brace che cova sotto tutto questo c’è, e dovrebbe essere rispolverata e ripresa in considerazione per darle nuovo ardore. La paura di fare la fine di un orrendo villaggio globale delle idee massificate ha le sue buone ragioni di esistere. Il pericolo di non fare in tempo a pulire la cenere è in agguato. Bisogna farlo prima che le nostre menti diventino nuovamente preda di nessun nesso, altrimenti non riusciremo più a pensare in senso compiuto,

Viviamo ancora il periodo delle cabine telefoniche e dei mezzi pubblici, ma quanto tempo abbiamo ancora? Riusciremo ad evitare il definitivo trionfo dei cellulari e  che scompaiano dal nostro paesaggio le decadenti e nostalgiche cabine? Per quanti anni possiamo ancora sperare di trovare un autobus che ci raccolga sulla strada di un asfalto polveroso? Quanto tempo passerà prima che tutti saranno costretti a viaggiare dieci metri da terra imbarcati su futuristici ovoli?

In questo tempo che ci separa dalla proclamazione del futuro siamo in grado di costruire i nostri pensieri affinché siano in grado di viverlo?  E se ci si vuole mettere al lavoro, quanti di questi fuochi sotterrati sarebbero ancora dei validi riferimenti per sperare in un recupero della nostra integrità sociale? O si perderebbe del tempo inutilmente nel volerli rispolverare? Bisogna dare una spinta definitiva al pensiero personificato affinché esso possa essere dominio di tutti e possa ricostruirsi all’interno della massa creando un significato per il tutto. Utopia.”

Avana attende per un attimo che arrivino gli applausi della platea. Mentre abbassa la testa e raccoglie l’approvazione del pubblico, la parola utopia le resta soffocata nel colletto della camicia.

Scende dal palco con passi misurati, calmi e precisi, per non inciampare su sé stessa. È impossibile capire quanto del suo discorso possa essere recepito, alcuni la guardano estasiati, ma se ciò è dovuto a quello che ha detto o a come lo ha detto è cosa ardua.

Avana spaventa la gente con le sue visioni esagerate, e questo le dà soddisfazione. È il suo motivo di pensieri e, pur non essendoci dentro tutta la verità, li esterna per misurare le reazioni della gente.

Nella sua realtà onirica non ci sono paesaggi completamente privi di cabine telefoniche e neppure moltitudini di ovoli che sorvolano le teste. Le strade sono meno polverose di quanto le abbia descritte e sono ancora percorse da rari autobus.

Altri pensieri sono rimasti fuori dalla dissertazione un po’ perché Avana non è in grado di reggere i contenuti, un po’ perché la gente va stimolata con le paure sul futuro e non spaventata con le certezze dei baratri del presente.

Avana cammina lungo il marciapiede che costeggia gli edifici, la sua città non è molto grande, come del resto è previsto dal codice stabilizzato di orientamento. Il regolamento ideale ha individuato gli spazi entro i quali ogni città deve essere costruita. Perciò nessuna di esse s’è ingrandita più del dovuto e ognuna ha assunto le caratteristiche specifiche per cui è stata progettata.

La città di Avana si è sviluppata rapidamente, durante il periodo di maggior crisi dell’affitto dei pensieri. A quei tempi la gente non era in grado di pensare da sola e si faceva finire i pensieri da coloro che erano capaci di farlo, pagando per questo.

Per uscire dall’impasse ormai diffusa e sempre più caotica si studiarono delle soluzioni diverse per costruire le città. Per sopperire alle mancanze sociali del tempo la tecnologia realizzò quei miglioramenti che eliminarono il parassitismo dell’affitto dei pensieri.

Si fece il vuoto, nella sua reale dimensione, poi fu riempito con la città a misura di persona, che avrebbe permesso lo sviluppo del pensiero personificato.

La città era sorta per ripudiare il trionfo di nessun nesso cui si stava andando incontro. L’unico sistema per uscire dal tunnel della massificazione informe, infatti, era rendere possibile la personalizzazione di qualsiasi riferimento materiale, in modo che rispecchiasse i voleri della persona cui appartenevano.

Perciò ogni casa ha la sua personalità, ogni strada la sua configurazione precisa e diversa dalle altre. Ogni macchina, così come ognuno dei pochi ovoli che sorvolano le teste, ha i connotati personificati.

Infine si passò al pensiero, che divenne anch’esso personificato e si pose fine al proliferare degli affittatori di pensiero. Ciò permise di sbaragliare il campo anche dagli assurdi mistificatori, persone che si spacciavano per grandi pensatori e che si ritenevano in grado di dare delle risposte.

In realtà possedevano solo teneri germogli di pensiero e per conquistare il maggior numero di seguaci possibile, non esitavano a vestirli di finti rami di carta e di cartone affinché dessero l’impressione di essere più compiuti del reale.

Il primo passo per evitare il trionfo della vacuità di quei personaggi fu il recupero degli interessi perduti. Non lo si poteva fare tenendosi anche il marciume che aveva caratterizzato la società fino ad allora, per cui si spensero tutti i fuochi, indistintamente, e si recuperarono le materialità personalizzandole.

Il resto è venuto da sé, naturalmente, come conseguenza logica dell’impostazione corretta del mondo; ora tutti possono vivere la loro completezza soddisfacendola in modo personale, sia dal punto di vista materiale che dei pensieri.

La città di Avana diede un ulteriore contributo alla realizzazione del mondo nuovo con la distribuzione gratuita e personificata dei pensieri. Fino al periodo immediatamente precedente al vuoto globale dell’affitto dei pensieri si era tentato, invano, di dare un corpo e una ragione anche ai sentimenti, ai valori, all’anima. Questo comportò il caos totale, e solo una rigorosa marcia indietro riuscì a far recuperare una decente vita sociale.

Avana siede su una panchina, una delle tante affacciata sul lungofiume; si gode il paesaggio, interagisce con esso, con i suoi pensieri, e ascolta la musica, la sua musica. Ogni tanto la punzecchiatura di qualche percezione sensoriale tenta di entrare, ma Avana non ha più quel tipo di recettività e tutto resta chiuso nell’asettico del pensiero quale deve essere personificato per lei. Avana si gode la musica, la sua musica, e chiude gli occhi.

  • Non tutti i fuochi sono spenti, ardono ancora come brace nascosta sotto alla cenere e al fango che gli abbiamo buttato sopra; i fuochi ci sono ancora, spetta a noi l’arduo compito di pulirli e renderli ancora …

Ladro! Quello che sta parlando è un ladro, pensa Avana mentre segue attonita le immagini di quell’uomo che si è appropriato dei suoi pensieri e li sta ripetendo in video.

Si precipita in strada, la giornata è diventata afosa e non si capisce perché  dato che il sole è sempre deciso a non splendere. La polvere si alza dalla strada dando un’immagine di disordine che non è lo specchio fedele della realtà.

Avana raccoglie questi attimi d’impressione senza comprenderli, sta camminando velocemente verso la meta e qualcosa di diverso si muove nei suoi pensieri. Forse è solo il disorientamento causato dalla vista del mistificatore, ma non lo identifica compiutamente.

Gira l’isolato lasciandosi dietro il rumore dei suoi passi, frettolosi sull’acciottolato del marciapiede. Un leggero venticello le scompiglia i capelli corti e folti, sta sbagliando strada e non capisce come questo possa succedere.

La mano di qualcuno la distrae e tenta di farle perdere tempo sulla strada della necessità di giustizia. Un alito di vento alza un foglietto di carta che volteggia in aria. Avana non sa se cade dall’alto o se viene su da terra.

Lo prende in mano e lo legge. Ci sono stampate le stesse parole e lo stesso discorso fatto dal ladro in video. Il mondo intero si è impossessato del pensiero di Avana e lo ha amplificato rendendolo merce pubblica.

Quel ladro si è vestito delle sue parole e si è appropriato del suo pensiero dandosi un contenuto che non è il suo. Questo è inaccettabile o sintomatico?

Avana si siede sulla panchina, ora non ha più fretta di arrivare alla meta, non ha i pensieri chiari nella mente. Quella domanda, talmente inusuale nei pensieri personificati, diventa come il venticello che le ha scompigliato i capelli, le dà la stessa sensazione di disordine al cervello.

Quello che ha sentito muoversi dentro sta diventando sempre più presente mentre lei non vorrebbe considerarlo affatto. Deve fare un passo alla volta se vuole togliersi quei dubbi dalla mente.

Riprende la marcia frettolosa, qualcosa di diverso sta prendendo corpo e, unto dalla pesantezza di quella inusuale riflessione, diventa sempre più pressante. Sta perdendo tempo prezioso.

Dai marciapiedi desolati e vuoti soffia sempre la stessa aria calda e appiccicata, sbuffi di fumo escono dagli edifici, strani pensieri riempiono la testa senza essere richiesti.

Avana gira in fretta gli isolati, avverte sensazioni e emozioni che non ha mai provato prima. Improvvisamente inciampa in un corpo fermo, sdraiato a terra; non capisce cosa ci faccia lì, come sia arrivato lì e come riesca a stare in quella posizione proveniente da chissà dove.

È caldo, Avana lo tocca sfiorandolo appena, giusto a sufficienza per riconoscerne la temperatura. Lo gira per vedergli la faccia e nel farlo si accorge che è morto; dunque non è appoggiato lì per compiere un rito o si è addormentato. Quell’uomo è morto!

Le viene istintivo un gesto di ritrosia, non c’è una giustificazione per quel corpo morto come non ne ha mai visti prima. E poi quel cadavere nudo, caldo e caduto, è dell’uomo che ha parlato in video!

È meglio andarsene di lì. Avana non capisce nulla di quello che ha vicino e che può toccare con mano, però avverte che qualcosa non funziona come dovrebbe. Avrebbe voluto trovare il ladro, questo sì, ma ora quell’uomo è morto e perciò non fa più parte di una ricerca. In un mondo dove non si muore più quello che sta succedendo ha dell’assurdo.

Avana ha paura e non sa perché. Non sa cosa significa provare quel sentimento e perché proprio lei deve sentirselo addosso. La situazione in città sta diventando caotica, attorno a quel corpo di persona morta si affannano in molti per scoprire cosa può averne causato il decesso.

Quello che è successo potrebbe collegarsi al bisogno di giustizia. Durante il primo periodo della fase di costruzione del nuovo mondo, gli eccessi della sperimentazione fecero nascere alle aberrazioni. Era diventata possibile l’interazione fisica con il solo sviluppo di un desiderio.

Coloro che avevano delle forti bramosie potevano realizzarle pensandoci intensamente e trasformando il loro pensiero in azione. Quella fase venne brillantemente superata con l’eliminazione dei desideri.

Se questa è la norma, se non ci sono più desideri, se non ci sono più sentimenti, se non più emotività, allora perché Avana ha paura? Cosa sta cambiando dentro e fuori di lei?

La questione è complessa ed è un peso difficile da sorreggere. Da essa scaturiscono ipotesi cui non si riesce a dare un senso. Nulla è un problema se non fuoriesce dall’accezione della norma. Essa rappresenta il binario su cui corre la vita, e tutte le eccezioni che la riguardano.

Attraverso il pensiero personificato e la cancellazione dei desideri, ognuno è più vicino alla completezza. L’incongruenza arriva quando accade qualcosa che modifica la norma nella sua sostanza, come l’uomo morto. Nel nuovo mondo non si muore più, e questa è una norma. Dunque si possono accettare i diversi stadi della vita, ma non quello finale, che rappresenterebbe una modificazione della norma in sé!

Qualcosa sta cambiando nella sua atmosfera. Quello che sta nascendo e crescendo a dismisura è la sensibilità, è la capacità di raccogliere dentro di sé le cose che non si vedono e non si sentono.

Avana sa che, nonostante ne chiuda la porta, i pensieri crescono dentro di lei. Vorrebbe cancellare tutto, ma il meccanismo che si è innescato a sua insaputa la fa precipitare sempre più dentro al tutto.

Lungo il cammino, diventato ormai un calvario di pena mentale, incontra un altro cadavere. Anche questo nudo, anche questo buttato lì senza che si capisca da dove arriva, e ancora caldo.

Chissà cosa vuole significare quell’orribile lancio di cadaveri ai suoi piedi, ma è una domanda fuori luogo in quella condizione aberrante di morte che non si è mai verificata. Cosa succederà dopo quell’ulteriore ritrovamento?

Lo tocca, lo rigira, cerca di togliersi la sensazione di disgusto del contatto fisico materializzandolo per portarlo fuori di sé. Non può più distaccare gli avvenimenti da lei stessa.

Se in un primo momento avrebbe potuto pensare che l’uomo ladro potesse essere una coincidenza nell’essere caduto ai suoi piedi, ora, di fronte quel nuovo cadavere, deve per forza ammettere che sono strettamente legati a lei.

Non capisce il perché né che cosa vuole da lei colui che uccide. Difficile dire se quei cadaveri sono dovuti a omicidi o a suicidi.

Avana sta uscendo dalla norma e non può farci nulla. È sconvolta, il suo corpo non ha più senso, la mente non ci prova neppure a trovare un motivo per quello che sta succedendo e la sensazione di tutto perduto è diventata tangibile. Scappa, corre, fugge via, lontano da lì, in un posto dove può trovare un nuovo equilibrio.

Le città sono tutte uguali, forse meno estese di quella che ha lasciato, ma con le stesse caratteristiche proporzionali. Gli odori che si sentono, i profumi che vengono sparsi, i fumi che annebbiano, sono sempre gli stessi, ovunque lei vada.

Gira qualche isolato a vuoto, senza meta e senza intenzione di cercarne una. Poi inciampa in un altro cadavere che appare ai suoi piedi improvvisamente: nuda, buttata lì e ancora calda. È l’incubo!

Deglutisce, scappare si è rivelato inutile e non può più nascondere quello che sente dentro. Non le resta che farsi forza e cercare di scoprire cosa sta succedendo attorno alla sua persona.

Scruta la donna morta, analizza il suo corpo pezzo per pezzo alla ricerca di indizi che possano giustificare quel gesto di morte o chi glielo abbia procurato. Ha del colore verde sulla punta delle dita, quello è l’unico segno diverso dalla norma che può riscontrare su quel corpo nudo e morto.

Lo sbattere d’ali, i capelli corti e scompigliati, un brivido lungo la schiena, un rumore secco; qualsiasi stacco potrebbe permettere ad Avana di tornare a vivere nella norma. Ma nessuna di quelle possibilità le si affaccia tangibile e percorribile.

Nonostante la sua rinuncia al pensiero fuoriuscito dalla personalizzazione e il progressivo avvicinamento verso l’eccezione che conferma la norma, la modificazione della stessa è sempre più probabile.

E arriva il giorno del quarto cadavere: nuda, buttata lì e sempre calda quando lei se la trova tra i piedi. Avana non ha tempo per scappare, non ha tempo per rifiutare quel fatto e fuggire lontano da esso.

Il cadavere questa volta è girato sulla schiena e il viso rivolto verso l’alto mostra l’incredibile assomiglianza con Avana. Ne resta sconvolta, lo specchio con il cadavere le porta a galla tutte le sensazione che fino a quel momento aveva tentato di nascondere nel profondo.

Non può scappare, deve restare lì, accanto a quel cadavere significante, e deve approfittarne per scoprire cosa succede dopo i ritrovamenti.

La Signora arriva poco dopo, va verso il cadavere, ne guarda le mani, gli occhi sbarrati, le gambe scomposte. Poi si allontana gridando.

  • Sauro, Sauro, dove sei? Chi ti ha portato via? Dove posso trovarti?

Avana segue quel suo agitarsi mentre si sta allontanando, e cerca di imprimersi ogni parola nella mente. La Signora è un ricordo, è qualcosa che c’è stato e che non c’è più. Deve seguirla per capire il mistero delle sue farneticazioni.

Entra in un vicolo stretto e s’infila in una porticina nera; pochi attimi e fuori si riempie di persone che attendono di entrare. Avana si mette in fila come gli altri.

Quando è il suo turno entra senza esitazioni, ma appena varca l’uscio viene sopraffatta da una nube rosata che le fa perdere i sensi.

Da quel momento in poi è in preda di uno strano viaggio mentale in cui i pensieri si caricano di significati complessi e insondabili. L’unica cosa tangibile è la certezza di avere già vissuto un viaggio simile.

Avana è sicura di essere stata lei l’artefice del viaggio precedente.

Adesso affronta un percorso a ritroso nel tempo. Si riaffaccia al periodo più cupo dell’affitto dei pensieri. Il suo corpo e le sue sensazioni diventano mezzi attraverso i quali i ricordi della Signora diventano presenti e i fuochi tornano ad ardere. Come aveva previsto.

La Signora compie strani riti su di lei senza che ci alcun modo per opporsi. Avana vorrebbe scappare, ma non è in grado di farlo. Nel tentativo di divincolarsi s’aggrappa alle mani che ha di fronte, quelle della Signora.

Quando le ritrae il colore verde s’è impresso sulla punta delle sue dita. Avana è terrorizzata!

Le sensazioni già avvertite in maniera lieve, ora pulsano al ritmo del sangue che le scorre nelle vene. Percepisce la paura, l’emozione, la speranza, la disperazione, la gioia, la passione. È travolta dai sensi e teme che questo possa farla impazzire.

La Signora sembra fluttuare con lei, come se anche per lei sia di primaria importanza la ricerca di un’ancora. Bisogna tornare alla condizione del mondo precedente per sperare di togliersi dal caos dei ricordi in cui sono naufragate.

Avana si sente vicina alla morte, e non sa se questo è dovuto al suo impazzimento oppure è provocato dai riti che si compiono su di lei.

Poi la Signora l’abbandona, nuda, sdraiata e sola, fuori dall’abitazione. Vorrebbe alzarsi, scappare, ma non riesce a muovere un dito.

Improvvisamente l’ambiente si richiude attorno a lei e si trova in una strana stanza, vuota e bianca; accanto a lei un uomo vestito.

Il bambino continua a giocare con la sua palla matta che rimbalza su tutte le pareti.